Sono passati poco più di due mesi e ancora sui media si parla dello stupro di Palermo avvenuto a luglio e perpetrato ai danni di una ragazza diciannovenne ad opera di un branco di giovani, tra cui un minorenne.
Lo stupro è stato filmato da uno di loro e ancora non è chiaro se per una” videoteca personale” o per essere messo in vendita su quelli che vengono definiti i social canaglia. Fin dai primi giorni e a tutt’oggi girano su internet e sui media le frasi che i giovani si sono scambiati nelle loro chat, subito dopo il fatto, spiegando nel dettaglio cosa e come avevano fatto.
Questi messaggi sono stati resi pubblici e in poche ore sono diventati virali. Sono stati pubblicati sui giornali, fatti girare sui social, mandati in onda nelle trasmissioni facendo sapere a tutti cosa ha subito la ragazza. Con l’intento di fare sapere a tutti quanto spregevoli siano stati questi ragazzi, non si è rispettata la dignità della ragazza.
Ognuno di noi ha potuto immaginarla in quel frangente attraverso quei dettagli scabrosi e intimi e quasi poter udire le sue inascoltate invocazioni di avere pietà.
Una informazione voyeuristica e pruriginosa, fatta di dettagli inutili e che niente aggiungevano all’orrore del fatto in sé, che da solo chiamava indignazione.
Oltre ad essere stata violata fisicamente, questi racconti, ripetutamente fatti girare sui media, hanno violato la sua dignità e reputazione.
Questa plateizzazione del fatto che lo cristallizza e lo reitterizza nel ricordo della ragazza e non solo, viene definita vittimizzazione secondaria perché rinnova e acuisce il trauma per quanto accaduto.
È successo in questo caso, ma succede anche per gli altri casi di violenza dove il riflettore pare dare maggior risalto ai dettagli che violano la privacy della vittima che al comportamento disumano dei colpevoli.
Questo caso ha evidenziato, caso mai ce ne fosse bisogno, quanto questo modo di comunicare la violenza sui media sia a discapito della immagine della vittima e alimenti una narrazione che ha radici culturali che sono ancora profonde e si fatica a estirpare nonostante tutti i tentativi di superare il modello culturale patriarcale che considera la donna oggetto di piacere e alla fine colpevole quando subisce violenza fisica e sessuale.
Anche i commenti sui social hanno messo in evidenza questa narrazione, e meraviglia che parecchi di questi commenti ignobili e sessisti siano stati fatti anche da donne che hanno criticato la ragazza mentre hanno qualificato quello che hanno fatto i giovani come una “ragazzata”. La logica che sottende è che “poverini “devono pagare penalmente solo perché la ragazza li ha denunciati anziché scegliere la via del silenzio, cosa che il senso comune suggerisce di fare. Forse c’è anche la convinzione che probabilmente sono stati indotti a compiere questa bravata dai comportamenti inappropriati messi in atto da lei (aveva bevuto, era vestita in modo inopportuno, aveva probabilmente ammiccato …e altre amenità del genere). Infatti è in un programma televisivo che, rispetto a queste narrazioni, si è messa la ciliegina sulla torta. Un conduttore televisivo ha chiosato che se la ragazza non avesse bevuto non avrebbe trovato il lupo… pardon… i lupi.
Perché si sa che se esageri con il bere e sei donna, non ti si rovina il fegato e/o puoi fare un incidente se guidi, il problema principale è, soprattutto, che induci il malcapitato individuo di genere maschile che ti sta attorno a mettere in funzione tutto il suo armamentario da macho. Il poverino si vede invitato, non a riportarti a casa per evitare che tu ti faccia del male, bensì a violentarti e, nel farlo, deve chiedere aiuto ad alcuni amici che a loro volta si trovano costretti a intervenire come da dovere.
Insomma in questo panorama comunicativo, ancora intriso da una cultura che vede ancora viva la disparità tra i generi, il risultato è che i ragazzi sono indagati e in carcere (per il momento) , ma la ragazza , che ricordo è la loro vittima , ha dovuto lasciare la sua città ed essere ospitata in una struttura protetta, perché oltre che insultata sui social, è stata anche minacciata e schiaffeggiata per strada da un suo ex fidanzato perché per colpa della sua denuncia alcuni suoi amici sono in carcere.
In questo caso, sì che mi viene da definire tutto questo “un mondo al contrario”.
Firma
Patrizia Orsola Botazzoli è nata a Milano nel 1955 e si è trasferita a Lucca nel 1998. Educatrice professionale , formatrice e consulente pedagogica. Ora in pensione, negli ultimi anni ha lavorato come operatrice nelle case rifugio del Centro Antiviolenza Luna di Lucca.